Nonostante le difficoltà che il mercato automotive sta affrontando, nell’ultimo anno si è registrato un vero e proprio boom delle vendite di auto elettriche e ibride plug-in, che nel 2021 sono arrivate a rappresentare oltre un quarto delle immatricolazioni totali.
Le auto elettriche utilizzano batterie agli ioni di litio, che generano l’elettricità necessaria ad alimentare il motore. Le batterie al litio possono essere ricaricate più volte, anche parzialmente, e hanno un ciclo di vita utile stimato di circa otto anni.
All’aumento della domanda di veicoli elettrici e, dunque, di batterie al litio, consegue un rapido aumento della domanda di materie prime necessarie a fabbricarle. Oltre a interrogarsi sulla sostenibilità e sugli impatti ambientali, sociali e geopolitici legati all’estrazione di metalli rari come litio, cobalto, nichel e manganese, necessari per la produzione delle batterie delle auto elettriche, è anche lecito chiedersi cosa accade quando queste raggiungono il termine della loro vita utile.
Data la presenza di materiali inquinanti che potrebbero comportare gravi problemi ambientali, è necessario che le batterie al litio vengano correttamente smaltite. Risulta però più conveniente da un punto di vista economico, oltre che ambientale, procedere al riciclo delle batterie esauste. Riciclare le batterie al litio consente, infatti, di recuperare i componenti e i materiali che le compongono. Per l’Italia, così come per il resto dell’Europa, il tema del riciclo diventa ancor più rilevante e strategico per ridurre la dipendenza economica dai pochi Paesi in cui i metalli necessari alla produzione sono concentrati.
Il riciclo delle batterie agli ioni di litio è ancora complesso e costoso per l’industria. La complessità risiede innanzitutto nella sicurezza dei processi poiché, se non maneggiate in modo appropriato, le batterie rischiano di esplodere o incendiarsi, oltre a comportare rischi di folgorazione, ustioni o intossicazione dovuta al fuoriuscire dell’elettrolita contenuto al loro interno.
Le metodologie utilizzate per il riciclo delle batterie sono essenzialmente due, applicate anche in modo combinato: processi pirometallurgici, che sfruttano temperature elevate per fondere i diversi metalli e recuperarli sottoforma di leghe e che comportano un elevato dispendio di energia; processi idrometallurgici, attraverso i quali i materiali vengono recuperati tramite reazioni chimiche utilizzando acqua e solventi, che hanno lo svantaggio di dover poi trattare i reflui prodotti.
Buone notizie in tema di riciclo arrivano proprio dall’Italia, dove Cobat, piattaforma di servizi per l’economia circolare, che garantisce un servizio efficiente di raccolta, stoccaggio e avvio al riciclo di qualsiasi tipologia di rifiuto grazie a un network logistico e di impianti presente su tutto il territorio nazionale, e il CNR ICCOM – Istituto di chimica dei composti organometallici di Firenze, hanno brevettato un unico processo chimico idrometallurgico che massimizza il recupero del litio, oltre a consentire l’estrazione degli altri materiali, con costi industriali sostenibili. Anche altri paesi e aziende sono a lavoro per trovare soluzioni efficienti al problema del riciclo delle batterie delle auto elettriche. Per esempio, Tesla possiede impianti interni di riciclo che permettono di recuperare fino al 92% degli elementi che compongono le proprie batterie e sta implementando una strategia di riciclo anche in Europa; le batterie usate delle Nissan Leaf vengono utilizzate per lo stoccaggio dell’energia fotovoltaica; Volkswagen ha aperto in Germania un impianto preposto al riciclo delle batterie al litio non più utilizzabili in altro modo.
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